La manifestazione di Napoli del 5 novembre 2022 – da non confondere con la contemporanea manifestazione pacifista romana – nasce in buona sostanza dal tentativo da parte del Cantiere 167 Scampia, del Collettivo Di Fabbrica dei Lavoratori Gkn Firenze, di Fridays for Future Napoli e del Movimento di Lotta dei Disoccupati “7 novembre” di indire un momento unitario di mobilitazione contro la guerra che, a differenza appunto della manifestazione romana, tenesse insieme al discorso antimilitarista anche quello di classe. La guerra, infatti, se ci è lontana dal punto di vista delle operazioni belliche, ci è sicuramente assai vicina in termini di aumento dei generi di prima necessità, di aumento dello sfruttamento e della vera e propria perdita di posti di lavoro. L’appello ha trovato da subito e continua a trovare l’adesione da parte di svariate aree del sindacalismo di base e del “movimento”.
Di là delle critiche che si potrebbero fare su punti minori, quindi, la manifestazione napoletana sembra cogliere un punto importante, sempre presente che però pare dimenticato: le guerre le dichiarano i ricchi e potenti, a morire ed anche a pagarle siamo noi. L’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità al dettaglio, quello delle bollette di corrente, acqua, gas e dei carburanti sia per l’autotrasporto sia per il riscaldamento, lo stato di recessione economica, l’aumento della precarietà e dei licenziamenti, il preannunciato razionamento dell’acqua in estate e del gas in inverno sono i tratti più evidenti di questa situazione.
Tutto questo, poi, come suol dirsi, piove e pioverà sul bagnato: l’intero pianeta, infatti, da un lato è ancora nel pieno delle conseguenze recessive dovute ad una pandemia che purtroppo non è affatto detto che sia finita, dall’altro sta cominciando a vedere sempre più chiaramente gli effetti della crisi climatica e dell’inquinamento in generale. Da un altro lato ancora, poi, l’aumento delle spese militari in questa fase sarà sicuramente finanziata con la diminuzione ancora più marcata che in passato delle spese per i servizi sociali, il che azzera praticamente ogni forma di salario indiretto mentre quello diretto è fermo a livelli minimali.
La scelta di Napoli come sede della manifestazione è, ovviamente, legata al fatto che nel territorio meridionale le conseguenze di guerra, carovita, licenziamenti saranno ancora più evidenti e, come sottolineano gli organizzatori, questa situazione non è frutto di un destino cinico e baro ma di una cosciente strategia del sistema capitalistico così come si è andato declinando nella penisola italica e che la prospettata revisione e tendenziale abolizione del Reddito di Cittadinanza non potrà che aggravare. Una situazione che può essere superata solo “attraverso l’unità di classe, le pratiche del mutuo soccorso, della solidarietà e della convergenza”.
Senza ulteriormente scendere nei dettagli, occorre sicuramente dire che una manifestazione di questo genere parte con un certo ritardo rispetto a quello che è accaduto in alcuni altri paesi dell’Unione Europea, dove le popolazioni hanno portato da subito in piazza sia la loro opposizione alla guerra senza sentire la necessità di schierarsi per l’uno o l’altro dei contendenti, sia la volontà di non pagarla in nessun modo. Questo è accaduto con notevole numero di partecipanti in Francia ed in Moldavia ma anche, con numeri minori ma crescenti, in altri paesi.
Indubbiamente, la propaganda di guerra ha svolto bene il suo compito nei vari paesi, avendo avuto fin dall’inizio come scopo preciso quello di creare una semplificazione del conflitto – della serie “è evidente che c’è un aggressore ed un aggredito”, “dobbiamo aiutare l’aggredito” – nascondendone i contorni complessivi che, se conosciuti a sufficienza, avrebbero probabilmente spostato l’opinione pubblica sulla massima napoletana “so’ doje maruzze: una fete, l’ata puzza” (“sono due frutti di mare [sottinteso andati a male]: una emana brutto odore, l’altra puzza”). Cosa che, evidentemente, avrebbe reso più difficile anestetizzare le coscienze in vista di una protesta per il peggioramento delle condizioni di vita.
Come che sia, dobbiamo uscire dall’incantesimo e rilanciare la mobilitazione popolare contro guerra, carovita e disoccupazione, costruendo un’opposizione sociale e politica a questo governo ed a quelli che potrebbero venire, i quali non saranno certo meglio di questo. Manifestazioni come quella di Napoli sono certo importanti ma non bastano, se restano un “grande evento” una tantum: occorrono iniziative diffuse e continue di mutuo soccorso contro gli aumenti, i licenziamenti e quant’altro lor signori ci stanno preparando. Occorre scendere in piazza e, allo stesso tempo, organizzarci in maniera permanente in ogni città ed in ogni quartiere, per non pagare la loro guerra e la loro crisi.
Enrico Voccia